A cura di Fabio Bistoncini
Premessa
L’attuale emergenza sanitaria sta profondamente modificando il contesto sociale in cui viviamo, trasformando radicalmente le nostre vite. Paventata da anni, basta rileggersi i moltissimi contributi di esponenti della comunità scientifica o alcuni interventi di chi sta dedicando la propria vita a diffondere la vaccinazione nel mondo come Bill Gates [1], pre annunciata da mesi (il primo post su Facebook della star italiana della virologia Roberto Burioni risale all’8 gennaio 2020) la pandemia COVID-19, di fatto, ha colto impreparati i sistemi istituzionali e sanitari di quasi tutti i paesi del mondo.
Da questo punto di vista NON è un cigno nero – come ha sottolineato lo stesso Nassim Taleb [2] dal momento che tra le caratteristiche di un evento così qualificabile ne manca una: proprio l’imprevedibilità. L’effetto dirompente tuttavia rimane.
Con il “distanziamento sociale” che, in attesa di un vaccino, è diventato il nuovo paradigma di declinazione delle nostre vite e quindi anche della nostra professione, quella del lobbista.
È su questo ultimo punto che voglio soffermare la mia riflessione: come l’attuale emergenza pandemica ha modificato l’attività di rappresentanza degli interessi, attività che, come noto, ha nell’“incontro” una delle sue chiavi di volta. Dopo tante riflessioni la risposta che mi sono dato è che la nostra attività di lobbisti nella sua sostanza non si sia affatto modificata. Cambiano le modalità e a vincere, ancora una volta, è la capacità di adattamento.
1. I gruppi di interesse
Le organizzazioni complesse sono state costrette a rivedere radicalmente e in pochissimi giorni le priorità, l’agenda, le modalità di lavoro e, in molti casi, il modello organizzativo. Con un’intensità proporzionale all’impatto che la pandemia ha avuto sul proprio settore o mercato di riferimento.
Le nuove priorità (ad esempio salvaguardare la salute dei propri dipendenti, gestire la chiusura parziale o totale delle attività produttive o dei propri punti vendita, riorganizzare la capacità di offrire servizi consulenziali) hanno determinato immediatamente nuove peculiari esigenze – informative, organizzative, di risorse economiche o finanziarie e creditizie – e certamente hanno definito anche la nuova agenda e i nuovi obiettivi dell’attività di lobbying che per lo più si sono affiancati ai “vecchi”.
I gruppi di interesse quindi hanno adattato la propria strategia al nuovo contesto confermando quanto dico da tempo sulla “strategia adattativa”: un approccio a cui nessun lobbista che si rispetti può ormai rinunciare in considerazione dei cambiamenti radicali che il contesto politico-istituzionale di riferimento ha subìto in questi ultimi anni e che sintetizzo velocemente con poche parole:
- Velocità: l’agenda pubblica cambia velocemente e con essa le singole priorità;
- Complessità: aumento della competizione tra gruppi di interesse, numerosi e diversi livelli decisionali, ecc.;
- Alto tasso di emotività della società e della politica.
Per inciso e senza velleità di approfondimento in questa sede, rispetto a quanto ha toccato ai gruppi di interesse, l’emergenza Covid19 ha imputato ai c.d. corpi intermedi “storici/classici” – parti datoriali e sindacali – un ruolo di rinnovata rilevanza nel processo decisionale. La crisi li “rivivifica” e li pone così di fronte ad una imprescindibile sfida: innovare l’organizzazione interna al fine di garantire internamente ed esternamente, a dispetto di forze centripete e centrifughe, una capacità di intermediazione prima e di rappresentanza della relativa istanza poi.
2. Il processo decisionale
L’emersione prima e l’esplosione poi del contagio pandemico sul nostro territorio nazionale ha determinato un’emergenza prima di tutto dal punto di vista sanitario (e poco dopo economico e sociale). Inoltre, i tempi e le modalità di propagazione del virus non sono stati omogenei investendo prima alcune regioni e poi altre: si è determinata un’arena di policy particolarmente affollata e a più livelli. Da un lato le Istituzioni nazionali, dall’altro le singole Regioni che, in virtù del titolo V della Costituzione, hanno la competenza in materia di Sanità – da qui una criticità che ha determinato spesso una competizione anche dal punto di vista normativo su tutti gli aspetti dell’emergenza, con attriti che in alcuni casi sono arrivati allo scontro istituzionale.
Tralasciando l’analisi della collaborazione/competizione tra Stato e Regioni, vorrei soffermarmi sull’arena decisionale a livello centrale ed in modo particolare su:
- l’ampia produzione normativa;
- l’accentramento della potestà decisionale in capo al Governo.
Dal 21 febbraio, giorno in cui il Ministro della Salute emana la prima ordinanza su COVID-19, ad oggi, la produzione normativa del solo livello nazionale ha riguardato:
D. LEGGE | DPCM | D. MINISTERIALI | ORDINANZE | DIRETTIVE | PROTOCOLLI | CIRCOLARI |
8 | 11 | 17 | 29 | 2 | 3 | 20 |
Come si può notare, si tratta di atti del Governo o di singoli Ministeri, tipici di una situazione emergenziale, ma che di fatto “esautorano” il Parlamento, il cui ruolo viene relegato nel migliore dei casi a “ratificatore” di decisioni altrui (Decreti-Legge) oppure a semplice spettatore (DPCM e decreti ministeriali).
Come tutti gli addetti ai lavori sanno bene, in larga parte questa era la situazione anche prima all’emergenza. L’emergenza l’ha amplificata, portando sotto gli occhi di tutti l’effettiva/reale marginalizzazione delle Camere ai confini dell’arena di policy.
Non solo, ma anche nell’ambito dello stesso Governo, abbiamo assistito ad un accentramento decisionale in capo alla Presidenza del Consiglio che direttamente, o attraverso il “braccio” della Protezione civile, ha diretto anche dal punto di vista normativo l’emergenza COVID-19.
3. L’attivià di lobbying
Definito lo scenario, in che modo i gruppi d’interesse stanno sviluppando la propria attività di sensibilizzazione del processo decisionale? Attività che si basa, nella sua declinazione classica, su una relazione diretta tra gruppi d’interesse e sistema politico/istituzionale.
MODALITÀ
Le riunioni “fisiche” o gli incontri sono stati sostituiti da telefonate, videocall, riunioni on line, messaggi whatsapp. Sia per definire la posizione del gruppo d’interesse che per trasferirla al Decisore pubblico. Questa a mio avviso è l’unica vera novità ma, come già premesso, si tratta di una modalità e non del core della nostra attività.
TEMPI
Il tempo ha assunto un significato diverso: si è ristretto e dilatato. Sembra un paradosso ma non è così.
Ristretto nel senso che i gruppi d’interesse devono definire e veicolare le proprie richieste in giorni, se non in ore. Certamente la settimana è un orizzonte che non tutti possono permettersi. Ma le giornate sono diventate molto più lunghe, scandite da una sequenza quasi continua di connessioni digitali. Si comincia al mattino e si finisce a sera tardi. I week end non esistono più. Le distrazioni sono continue. Non tanto quelle create dalle interruzioni familiari che tutti noi dobbiamo gestire. Ma quelle determinate dal flusso continuo e costante di notizie, rumors, voci più o meno attendibili che devono essere analizzate, valutate ed interpretate.
Anche in questo caso – al netto del nuovo e per molti di noi inedito contesto casalingo – la sostanza cambia poco: già da tempo la capacità di reazione dei gruppi di interesse si è cominciata a misurare in giorni se non in ore. Emblematica la Sessione di Bilancio che, con i suoi ritmi e i suoi tempi, negli ultimi anni è diventato l’unico e vero banco di prova per molteplici gruppi di interesse, aumentando la competizione tra loro per attrarre l’attenzione del Decisore e incidere – in un lasso temporale davvero ristretto – sul processo decisionale pubblico.
CONTENUTI
Come noto, la costruzione di un contenuto credibile, fondato su dati e informazioni attendibili e verificabili, costituisce l’arma vincente nella contesa con gli altri interessi organizzati. Gli spazi a disposizione sono però limitati dal momento che l’attenzione del processo decisionale è quasi esclusivamente diretta alla gestione dell’emergenza.
Primeggiare in questo contesto è molto difficile ma molti di noi sono già ben allenati.
Le singole istanze possono essere prese solo se sono contestualizzate rispetto alla crisi in atto e se offrono una prospettiva di una soluzione (sia pur parziale) ad uno dei tanti problemi aperti che si accumulano sulla scrivania di chi oggi ha un incarico decisionale.
Lo sforzo allora – ancora più oggi che in passato- non è solo quello di riuscire ad elaborare le proprie richieste, ma di inquadrarle nell’attuale contesto e di sostenerle con dati ed informazioni ad esso collegate. Il tutto condensato in pochissime righe. Perché, come detto prima, il tempo è diventato, per il decisore, una risorsa sempre più scarsa e quindi preziosa.
Conclusioni
Ritengovalga la pena sottolineare
unariflessione generale, ma mai come ora strettamente connessa ai punti
di cui sopra: la riaffermazione della “competenza” come valore.
Se infatti da un lato, soprattutto nella prima fase,
coloro che possedevano la competenza sulla pandemia sanitaria sono stati forse
poco ascoltati, a partire dai primi di febbraio i “tecnici” (Istituto Superiore
di Sanità o il Comitato Tecnico Scientifico istituito nell’ambito della
Protezione Civile o i vari Commissari nominati dalle Regioni) hanno acquisito un
ruolo centrale nella definizione delle politiche pubbliche. A tutti i livelli,
la politica ha negoziato e in molti casi ceduto spazio decisionale ad organi
tecnici, affidandosi così alla loro competenza per giustificare decisioni anche
dolorose in termini di libertà individuali. Il riequilibrio tra campo della
politica e quello della validità scientifica non sarà facile né indolore. E in
questa prospettiva, il concetto dell’“uno vale uno” è destinato ad andare
definitivamente in soffitta. O almeno questo è il mio personale convincimento.
[1] Ted speech https://www.youtube.com/watch?v=6Af6b_wyiwI
[2] Intervista a Repubblica del 4 marzo 2020