La “sovranità digitale” è uno dei temi più dibattuti del momento. Per orientarsi in un contesto in rapido cambiamento abbiamo intervistato Guido Scorza, avvocato, docente di diritto delle nuove tecnologie, nonché consigliere giuridico del Ministro dell’Innovazione, Paola Pisano.
1. Nella società nella quale viviamo le interazioni tra uomo e macchina sono sempre più frequenti e profonde. L’innovazione tecnologica modella ormai non soltanto la vita quotidiana delle persone, ma le loro stesse attività e quindi la sfera economica. Alla mano invisibile del mercato sembra affiancarsi cioè una “nuova mano invisibile automatizzata”: quale ruolo, quali funzioni e quali prerogative spettano allo Stato in questo scenario?
Credo che il ruolo che spetta allo Stato sia quello di orientare l’impatto della tecnologia sulla società in modo da massimizzarne il beneficio collettivo e contenerne gli effetti collaterali negativi. Lo strumento è, naturalmente, la regolamentazione ma deve trattarsi di una regolamentazione “alta”, per principi, tecnologicamente neutrale, rifuggendo ogni tentazione di normazione di dettaglio. E, poi, è, ovviamente, compito dello Stato garantire l’enforcement delle regole: si tratta di una funzione dalla quale lo Stato non può e non deve sottrarsi e, soprattutto, non può e non deve delegare a soggetti privati semplicemente perché tecnologicamente avvantaggiati.
Un altro compito irrinunciabile dello Stato è quello di educare i cittadini a vivere con le macchine, i robot, gli algoritmi e le altre tecnologie emergenti. Ci sono conoscenze di base di natura tecnologica che, ormai, rappresentano una “lingua” che tutti dovremmo conoscere e saper parlare per non restare esclusi dalla società nella quale viviamo.
2. Le implicazioni sociali derivanti dall’utilizzo del cosiddetto “sistema tecnologico di decisioni automatiche” suscitano l’attenzione e l’interesse di studiosi e intellettuali. Lo stesso tema della disciplina e protezione dei dati personali si va lentamente insinuando nel dibattito pubblico internazionale. In questo quadro sembrano delinearsi, volendo semplificare, due diverse concezioni di “sovranità digitale”: quella americana, la cui dimensione prevalente appare quella privata, e quella cinese, la cui dimensione prevalente appare invece quella pubblica. Verso quale soluzione dovrebbe essere protesa l’Italia? Di quali strumenti bisogna dotarsi?
Personalmente non credo che un Paese come il nostro con una così profonda e radicata cultura democratica e costituzionale nella quale pubblico e privato hanno ciascuno il loro ruolo, le proprie funzioni e competenze dovrebbe rivedere la propria posizione “solo” perché, oggi, le tecnologie offrono possibilità, mezzi e risorse fino a ieri inesistenti. Intelligenza artificiale e, in generale, sistemi tecnologici di decisioni automatiche, sono e restano strumenti che è auspicabile lo Stato usi in maniera crescente a supporto della propria attività.
Non vedo l’esigenza di ridisegnare la linea di confine tra il ruolo del pubblico e quella del privato.
3. Smart, artificial intelligence, cloud, internet of things, blockchain, sono lemmi e concetti di uso sempre più comune nel discorso pubblico odierno. A tale circostanza non sembra corrispondere tuttavia una diffusa e capillare digital education, in forza della quale sviluppare un uso consapevole della tecnologia. Quali politiche di sensibilizzazione si ritiene necessario promuovere sul breve e sul lungo periodo, soprattutto per cittadini e imprese?
Quello educativo e culturale è il tema in assoluto più rilevante e complesso nelle politiche di trasformazione digitale del Paese. In assenza di adeguate misure di intervento in questi settori la trasformazione digitale e l’innovazione tecnologica non solo non produrrebbero effetti positivi ma ne produrrebbero di negativi aumentando i divari e le discriminazioni tra i cittadini. Perché i benefici della trasformazione digitale siano per tutti è indispensabile che tutti dispongano di un adeguato livello di alfabetizzazione e educazione digitale di base. È necessario investire nell’alfabetizzazione digitale di tutti i cittadini attraverso forme di virtuosa collaborazione pubblico-privato come si sta provando a fare nell’ambito del progetto di Repubblica digitale perché ogni cittadino ha la sua motivazione, la sua esigenza, la sua necessità per scoprire e/o imparare a usare le nuove tecnologie. Ed è importante lavorare sull’aggiornamento dei curricula scolastici e rendere l’informatica, il coding, l’educazione civica digitale parte integrante dei percorsi di formazione. Ma è solo l’inizio. Servono iniziative di educazione di massa all’uso consapevole delle cc.dd. tecnologie emergenti.