Un Natale stanco

Fabio Bistoncini – Fondatore e Presidente della FB & Associati

Abbiamo appena trascorso un Natale molto particolare (eufemismo…) e la situazione di emergenza, in cui siamo costretti a vivere da mesi, non accenna ad attenuarsi. Anzi. Siamo uno dei Paesi con il più alto numero di contagi al mondo, quello europeo con più decessi. Siamo tutti preoccupati e, ovviamente, stanchi.
Certo c’è la buona notizia dell’arrivo del vaccino ma ci vorranno ancora molti mesi prima di raggiungere l’agognata normalità.
Lo “spirito di marzo” con il tricolore esposto con orgoglio alle finestre o l’inno di Mameli cantato a squarciagola sembra ormai del tutto evaporato. Gli “eroi” della prima ondata quasi dimenticati, la responsabilità nei comportamenti individuali (l’ormai famoso distanziamento sociale) sacrificata alla voglia prepotente di socialità (le vacanze di quest’estate e lo shopping pre natalizio di questi giorni).
Se il Paese ha retto abbastanza bene durante la prima fase (marzo – giugno), in questo secondo periodo dell’anno sono riemerse prepotentemente tutte le lacune politico istituzionali che da anni lo attanagliano. Non poteva essere diversamente, dal momento che tutte le crisi acuiscono e amplificano le fragilità.
Quattro sono le dinamiche dirompenti che stanno mettendo a dura prova la tenuta istituzionale.

1) Accentramento nell’Esecutivo della potestà decisionale

Da febbraio in poi l’intervento dell’esecutivo per fronteggiare l’emergenza pandemica si è articolata attorno a due strumenti principali:

– I decreti legge
– i decreti del presidente del Consiglio dei Ministri, gli ormai famosi DPCM che ormai tutti gli italiani conoscono

Come si può notare, si tratta di atti del governo, tipici di una situazione emergenziale, ma che di fatto “esautorano” il Parlamento, il cui ruolo viene relegato nel migliore dei casi a “ratificatore” di decisioni altrui (Decreti Legge) oppure a semplice spettatore (DPCM).
In larga parte accadeva anche prima all’emergenza. Questa l’ha amplificata, portando sotto gli occhi di tutti l’effettiva/reale marginalizzazione delle Camere ai confini dell’arena di policy.
Non solo, ma anche nell’ambito dello stesso governo, abbiamo assistito a un accentramento decisionale in capo alla presidenza del Consiglio che direttamente, o attraverso il “braccio” della Protezione civile, ha gestito anche dal punto di vista normativo l’emergenza Covid-19.
Un ulteriore aspetto deve essere considerato. E cioè l’affiancamento alla Protezione Civile di altri organismi quali task force, Commissari, team di esperti che a vario titolo hanno contribuito a confondere ruoli e competenze.
Conosciamo già l’obiezione: si tratta di fronteggiare una situazione eccezionale e quindi mai come in questo momento provvedimenti normativi immediati sono assolutamente giustificati.
In parte è vero. Ma ridimensionare per mesi il ruolo del Parlamento ha come conseguenza quello di ingolfarne i lavori, ridurre gli spazi di discussione politica, stimolare una visibilità che si estrinseca (anche ma non solo) nella proliferazione di emendamenti a qualsiasi atto da esaminare (oltre 29.000 solo sui principali decreti legge, di cui 7.000 alla legge di Bilancio i cui tempi di discussione sono stati fortemente compressi). Un circolo vizioso, dunque, destinato a ripetersi in un loop ipnotico.

2) Il rapporto Stato – Regioni

L’emergenza Covid nasce come un’emergenza sanitaria, materia in cui le singole Regioni, in virtù del titolo V della Costituzione, hanno competenza legislativa e quindi decisionale. Ogni Regione ha una propria connotazione politica che determina un approccio più o meno “ostile” da parte delle singole Giunte a seconda del grado di vicinanza con la maggioranza che sostiene in governo.
Se è vero che atteggiamenti critici nei confronti dell’operato dell’esecutivo sono stati fatti, in questi mesi, da quasi tutti i presidenti di Regione… è altresì vero che situazioni di vero e proprio scontro politico e istituzionale si sono verificate con le Regioni con Giunte di centro destra.
Un rapporto Stato – Regioni dunque oscillante tra la collaborazione e la competizione fino ad arrivare a un vero e proprio conflitto giuridico e politico.

3) Rapporto tra tecnici e politica.

Anche questo è un problema annoso ma che è riesploso in questo periodo.
Subordinare decisioni politiche ad alcuni dati tecnici (esempio i famosi parametri individuati dal Comitato Tecnico Scientifico per determinare il passaggio di una regione da una colorazione a un’altra) è, a mio avviso, un errore strategico.
Perché se è vero che, soprattutto nel caso di un’emergenza pandemica, le decisioni dovrebbero essere sempre data driven, l’assunzione di responsabilità deve essere sempre politica. In molti casi invece l’impressione è che la politica abbia cercato di nascondersi dietro i tecnici per prendere (o peggio per ritardare) decisioni impopolari. Come quando in passato i leader di governo, per giustificare decisioni difficili ma necessarie, si nascondevano dietro il mantra “ce lo chiede l’Europa…”

4) Proliferazione normativa.

Amiamo raccontarci che l’Italia sia la “culla del diritto”. Storicamente è senz’altro così. Ma siamo anche il Paese in cui c’è una sovrabbondanza di norme.
Per affrontare l’emergenza abbiamo prodotto:
25 decreti legge, 25 DPCM, oltre un centinaio di ordinanze a livello centrale a cui si devono aggiungere quelle emanate (a decine) dalle singole Regioni.
Un numero sufficiente a generare un minimo di confusione anche per chi come noi è abituato a districarsi tra norme e cavilli.
Le attuali fibrillazioni del sistema politico trovano in queste dinamiche il loro terreno di proliferazione e crescita esponenziale.
Si è ritornati così a parlare di “crisi di governo”, di “rimpasti”, “consultazioni”, di “gruppi di responsabili” in via di costruzione per puntellare un governo sempre più traballante.
Un lessico antico, vetusto, superato, che guarda al passato.
Proprio mentre il dibattito pubblico dovrebbe essere focalizzato sul futuro, su come ridisegnare il nostro assetto economico, industriale e sociale post pandemia grazie ai fondi previsti dal piano europeo “Next generation Eu”.
Un’occasione unica, che proprio perché non è un regalo (solo una parte è costituita da trasferimenti a fondo perduto) non possiamo permetterci di non utilizzare al meglio.
La politica non solo è faticosa mediazione tra differenti istanze: in questo ultimo anno soprattutto tra quelle della salute e quelle economiche. Scelte difficili e dolorose non semplici né banali.
Ma è anche (soprattutto?) offrire “visioni”, prospettive, obiettivi difficili se non impossibili, speranza.
Con tempi che si devono adeguare alla velocità del cambiamento in atto. Altrimenti l’impressione è di rincorrere scadenze ed eventi, e non di governarli.
E questo non giova alla credibilità del sistema politico e quindi democratico.