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La vittoria elettorale di Elly Schlein potrebbe essere riassunta con tre parole: cambiamento, affluenza e imprecisioni. Cambiamento: per la prima volta nella storia del Partito Democratico, le primarie aperte hanno ribaltato il voto degli iscritti e visto una polarizzazione della sfida in uno scontro realmente conteso. Affluenza: con una partecipazione che ha ampiamente superato le aspettative pre-voto, la sfida dem ha portato alle urne poco più di un milione di persone. Cifra nettamente inferiore rispetto a grandi tornate elettorali del passato (3,5 milioni del 2007 o 2,8 milioni nel 2013), ma comunque significativa, considerando il costante calo dell’affluenza e il clima di generale disaffezione degli ultimi anni. Infine, le imprecisioni: specialmente in una competizione ristretta e difficile da sondare, è ancora più evidente come non si possa fare affidamento acritico ai sondaggi. Prima del voto, Bonaccini veniva rilevato con 25 punti percentuali di vantaggio, mentre dalle analisi social era evidente che la capacità di Schlein di cogliere reazioni positive fosse più elevata, nonostante la spesa di circa un decimo rispetto all’investimento dell’avversario.
Elementi di una vittoria
Secondo un’analisi di FB Bubbles – divisione di FB&Associati specializzata in strategie di advocacy e analisi del dibattito pubblico – questo evento elettorale è la manifestazione di un’esasperazione nei confronti di un indirizzo politico eccessivamente moderato dei vertici dem. Schlein è stata, infatti, in grado di catalizzare il voto di protesta, intercettando il cosiddetto “voto di opinione” e ponendosi come concreta competitor di una figura moderata in un’epoca in cui i leader devono essere carismatici e i messaggi divulgati con nettezza. La stessa chiarezza e puntualità con cui è stata capace di cavalcare i maggiori trend della sinistra occidentale di questi anni: ecologia, ambiente, femminismo, occupazione e battaglie di genere. Mentre un tempo venivano giudicate come tematiche minoritarie, ora in Schlein tanti elettori vedono una leader che riesce a dare voce a istanze che si inseriscono perfettamente all’interno dell’attuale cornice storica. Il punto chiave rimane l’appealing e la forza con cui si dà voce ai bisogni sociali. Il moderato non va più di moda.
Il plot-twist che ha portato Schlein alla vittoria è anche frutto del ritorno alle urne di alcuni elettori che in questi anni avevano smesso di votare PD, facendo sì – presumibilmente – che un universo contiguo per cultura politica reclamasse un effettivo cambio di passo rispetto all’establishment, incarnato nella figura di Bonaccini. Lo schema Bonaccini di mettere d’accordo alcuni tra i più importanti amministratori locali dem – Emiliano, De Luca e Gori – e coltivare eredità e lascito del passato aspettandosi che, come un tempo, la macchina mobilitasse un elevato numero di elettori, non gli ha permesso di creare un movimento d’opinione solido e, di conseguenza, di ottenere la vittoria. Schlein, invece, nonostante fino a qualche mese fa non fosse iscritta al partito e lo abbia a tutti gli effetti scalato dall’esterno, appare più in linea con le odierne necessità rispetto a tanti dirigenti di lungo corso. Definirla un outsider sarebbe – tuttavia – improprio, considerando che la sua figura è tutto fuorché distonica rispetto alle contingenze del PD: revisione e ristrutturazione. Il suo principale punto forte è essere percepita come parte del sistema, ma allo stesso tempo contro lo stesso, perché intenzionata a cambiarlo.
Al netto di endorsement importanti – Zingaretti, Boccia, Franceschini – Schlein nei circoli ha perso per circa 18 punti, considerato anche che tanti tesserati conservano un forte radicamento con l’anima più tradizionalista del partito. La sua vittoria è stata piuttosto un’investitura popolare, riuscita anche grazie al coinvolgimento dei giovani e delle donne, due segmenti ancora poco rappresentativi nei circoli e che, presumibilmente, hanno partecipato in misura minore alle consultazioni interne. Alle primarie si è recato dunque a votare un corpo elettorale più ampio ed eterogeno rispetto a quello dei soli iscritti, nel quale Schlein ha trovato terreno fertile e creato reti motivate che si sono mobilitate sul territorio.
Aspettative e prospettive
L’asse retorico di questo discorso pubblico vira, inevitabilmente, a sinistra. La nuova segretaria del PD viene percepita come una figura appartenente alla cosiddetta “vera sinistra” da una buona porzione degli elettori che l’hanno sostenuta, attirati alle urne da un desiderio di cambiamento, di ritorno ai temi tradizionalmente cari alla sinistra e dall’identificazione di una candidata capace di realizzare queste richieste. Da Schlein ci si aspetta, dunque, una scossa.
Dopo essere riuscita in una simile impresa elettorale, i tempi per dare forma al cambiamento sono stretti. Nonostante la natura mutevole e fluida – talvolta ambigua – del Partito Democratico, costantemente in evoluzione e dunque adatto a subire un’altra sollecitazione, la dinamica alleanza/sostegno è comunque intrinseca e connaturata nel partito, in cui la rappresentanza istituzionale – e più precisamente parlamentare – è la chiave per la gestione dell’apparato-macchina. Una chiave che tuttavia, ad ora, Elly Schlein non appare possedere.
E se la cosiddetta “vecchia guardia” può mal sopportare la novità rappresentata da Schlein, la significativa vittoria di Bonaccini nei circoli innesca anche la preoccupazione del sistema-partito rispetto all’effetto della nuova segreteria sugli iscritti. Nonostante l’ampio consenso, Schlein ha poche settimane per lanciare una prima dimostrazione di quanto promesso e per compiere le prime scelte organizzative, così da evitare che le vecchie dinamiche di partito la fagocitino e gli alleati di ieri diventino potenziali “creditori” di domani.