EPBD: Nuovi standard per gli edifici europei

  6 minuti di lettura

In questo documento FB&Associati-Bruxelles analizza la recente direttiva EPBD – “case green” – e le conseguenze sul nostro Paese che dovrà adeguare la normativa vigente alle nuove regole europee.

La proposta

Tra i dossier apicali della seconda parte della nona legislatura europea, va sicuramente inserita la direttiva sulle prestazioni energetiche degli edifici (nota anche con l’acronimo della nomenclatura inglese EPBD Energy Performance of Buildings Directive – o direttiva “case green”), una proposta volta a diminuire i consumi energetici del settore edilizio dell’UE che nel corso del suo iter ha trovato notevole spazio, anche con tono critico, nella cronaca italiana.

Dopo un lungo iter parlamentare, il Parlamento e il Consiglio dell’UE hanno raggiunto un accordo provvisorio1 nel trilogo del 7 dicembre 2023. Il testo di compromesso dovrà ora essere confermato dai colegislatori, prima di poter essere pubblicato in Gazzetta ufficiale.

Per partire dall’inizio dell’iter è tuttavia necessario tornare al dicembre 2021 quando la Commissione europea ha presentato la proposta EPBD nell’ambito della strategia “Fit for 55”, ovvero un insieme di proposte volte a rivedere e aggiornare la normativa UE per contribuire alla riduzione delle emissioni nette di gas a effetto serra di almeno il 55% entro il 2030.

La scelta di intervenire su questo specifico tema deriva dal fatto che il settore edilizio è risultato essere la principale fonte di consumo energetico nell’UE. Più nel dettaglio, nel 2021 il 42% dell’energia consumata nell’UE è stata utilizzata negli edifici, responsabili anche di oltre un terzo delle emissioni di gas serra dell’UE legate all’energia. Tali dati mostrano nel concreto perché la Commissione ha scelto di inserire la riforma del parco edilizio europeo all’interno del pacchetto Fit for 55.

Obiettivi e benefici

L’obiettivo principale di questa direttiva è arrivare alla neutralità climatica entro il 2050 con nuovi edifici a emissioni zero dal 2028 e dal 2033 nuove costruzioni e ristrutturazioni in classe D. A tal fine, sono state previste deroghe per gli Stati membri e misure per aiutare a combattere il cambiamento climatico, ridurre le bollette e sostenere le famiglie più vulnerabili.

Inoltre, la revisione della direttiva potrebbe offrire una grande opportunità per raggiungere quegli obiettivi di decarbonizzazione e indipendenza dai combustibili fossili per molti Paesi, tra cui l’Italia, in cui ogni anno si consumano oltre 32 miliardi di m3 di gas, molti dei quali acquistati da Paesi esteri.

Non è da escludere poi un vantaggio per le imprese che operano nel settore della climatizzazione: con un piano europeo di lungo termine, potranno investire nella ricerca e nella produzione di prodotti e dispositivi meno inquinanti. Anche le famiglie potrebbero beneficiarne, abbassando le bollette e valorizzando maggiormente il loro patrimonio immobiliare.

A tutto ciò si aggiungerebbero anche benefici indiretti: European Alliance to Save Energy (EU-ASE)3 stima che per ogni milione di euro investito nella ristrutturazione energetica degli edifici si creerebbero circa 18 posti di lavoro locali e a lungo termine. Inoltre, soluzioni come l’isolamento termico, il teleriscaldamento e pompe di calore contribuiscono a creare 1,2 milioni di posti di lavoro netti in più e un aumento del PIL dell’1% entro il 2050.

Senza contare i benefici ambientali dal momento che il settore edilizio è responsabile del 40% del consumo totale dell’energia e del 36% delle emissioni a effetto serra nell’UE.

In Italia

La proposta ha suscitato diverse reazioni in Italia, soprattutto perché alcuni target di efficientamento energetico sono apparsi eccessivamente ambiziosi e, conseguentemente, di difficile realizzazione all’atto pratico. L’eliminazione delle caldaie a combustibili fossili entro il 2035, il sistema di incentivi finanziari per i cd. mutui green, l’obbligo di pannelli solari su alcune categorie di edifici residenziali, nonché il collegamento dell’obbligo di ristrutturazione alla classe energetica degli edifici (classe D, classe E, classe F) hanno creato malumori non solo nell’industria, ma anche nella politica italiana.

In particolar modo, dopo le elezioni politiche del 2022 e l’avvento del Governo Meloni, le voci critiche si sono levate anche dai banchi dell’Esecutivo. Il Ministro dell’Ambiente e della Sicurezza energetica, Gilberto Pichetto Fratin, riprendendo quanto già affermato dall’Aula della Camera dei deputati italiana in una mozione sul tema, ha ribadito a più riprese la necessità di concedere maggior flessibilità agli Stati membri, sottolineando anche la “peculiarità del patrimonio edilizio italiano” come ulteriore deterrente.

Nel frattempo, l’iter è proseguito e sia il Consiglio che il Parlamento hanno approvato la propria posizione, rispettivamente il 25 ottobre 2022 e il 14 marzo 2023.

Il primo trilogo si è svolto il 6 giugno 2023 e dopo mesi di trattative complesse i colegislatori hanno raggiunto un accordo su un testo, contenente disposizioni meno stringenti rispetto alla proposta iniziale della Commissione, soprattutto per volontà del Consiglio (quindi degli Stati membri).

Principali contenuti dell’accordo

Entrando nello specifico, l’accordo raggiunto, innanzitutto, posticipa al 2040 l’eliminazione delle caldaie a combustibili fossili. Dal 2025 non ci potranno più essere incentivi per caldaie a combustibili fossili, ma rimane la possibilità di fornire incentivi per sistemi di riscaldamento ibridi che utilizzino in buona parte energie rinnovabili.

Il sistema di incentivi finanziari a livello di mutui residenziali è invece stato spostato ad adesione volontaria per gli Stati Membri (“mutui green”), dopo che già nei precedenti triloghi si era passati da “norma di portafoglio ipotecario” a semplice sistema di incentivi, un sistema deciso dalla Commissione europea attraverso atti delegati, la cui scelta di adesione spetta agli Stati membri

Volendo invece approfondire quelle che saranno le nuove norme sugli edifici, durante le negoziazioni il Consiglio ha cercato di stravolgere completamente la prospettiva relativa alle classi energetiche, traslando la responsabilità dal singolo proprietario allo Stato membro. Pertanto, sono scomparsi i riferimenti alle classi energetiche ed è stato preferito un approccio in cui vengono stabilite le medie di riferimento del consumo di energia per ciascun Paese sull’intero patrimonio edilizio.

Nello specifico è necessario sottolineare il differente approccio utilizzato per gli edifici di nuova costruzione e quelli già esistenti, specificando nel secondo caso le norme per gli edifici residenziali e non residenziali.

Il testo della direttiva prevede che entro il 2028 tutti i nuovi edifici di proprietà di enti pubblici dovranno essere a zero emissioni e tale previsione verrà estesa a tutti i nuovi edifici entro il 2030.

Per quanto riguarda gli edifici già esistenti, gli Stati membri dovranno fissare norme minime di prestazione energetica4 e in base a tali standard, i colegislatori hanno convenuto che il consumo energetico di tutti gli edifici non residenziali nel 2030 dovrà esse pari o inferiore al 16% degli edifici con prestazioni peggiori e nel 2033 pari o inferiore al 26%.

Per quanto riguarda l’obiettivo di ristrutturazione degli edifici residenziali, gli Stati membri potranno predisporre autonomamente un piano di ristrutturazioni per arrivare alla decarbonizzazione degli edifici residenziali al 2050 in piena autonomia, con l’obbligo di rispettare due soli paletti, ovvero quello di concentrare i loro sforzi sugli edifici con le peggiori performance energetiche e quello di raggiungere una riduzione dei consumi medi di energia del 16% nel 2030 e del 20-22% nel 2035 (accordo raggiunto all’ultimo trilogo).

Sono altresì previste delle eccezioni per determinate tipologie di edifici quali luoghi di culto, edifici storici, edifici indipendenti con superficie inferiore a 50 metri quadri, case per vacanze estive ed edifici residenziali usati per un periodo limitato e con un consumo energetico ridotto, edifici di proprietà delle forze armate o usati per scopi di difesa, siti industriali, officine e edifici agricoli non residenziali.

Infine, meritano una particolare riflessione le norme relative all’utilizzo di pannelli solari negli edifici. Rispetto al testo iniziale, infatti, l’obbligo di pannelli solari non è più presente per alcun edificio residenziale già esistente, mentre continua ad essere promossa la diffusione di impianti di energia solare adeguati negli edifici di nuova costruzione, negli edifici pubblici e in quelli non residenziali esistenti sottoposti a una ristrutturazione per la quale è richiesta un’autorizzazione. Sono previste tuttavia possibili deroghe a livello nazionale.

L’obbligo di pannelli solari non è più presente per alcun edificio residenziale già esistente, mentre permane per edifici pubblici di grosse dimensioni (oltre 250 mq) e sugli edifici non-residenziali (oltre i 500 mq) che siano soggetti a ristrutturazione, qualora “tali lavori siano economicamente, tecnicamente e funzionalmente fattibili”.

L’infografica sottostante, realizzata dal Consiglio dell’Unione Europeo, mostra le fasi di implementazione di pannelli solari.

Prossimi passi

Il testo entrerà in vigore venti giorni dopo la pubblicazione in Gazzetta ufficiale e da quel momento gli Stati membri avranno ventiquattro mesi per implementare le misure della direttiva nel diritto nazionale.

Dal momento che la plenaria del Parlamento europeo dovrebbe confermare l’accordo tra febbraio e marzo del 2024 e la pubblicazione in Gazzetta ufficiale richiede qualche settimana dalla ratifica dei colegislatori, si può ipotizzare che le misure nazionali possano essere implementate entro il secondo trimestre del 2026.