In quest’intervista esclusiva di FB&Associati, il Professor Giovanni Orsina ricostruisce passato, presente e futuro di Forza Italia e di Silvio Berlusconi. Quali sono le logiche che oggi ispirano l’azione del partito? Qual è il lascito storico del berlusconismo e quali le prospettive di Forza Italia, anche in chiave europea, visti i problemi di salute del suo storico leader?
Giovanni Orsina è Professore ordinario di Storia Contemporanea all’Università LUISS Guido Carli di Roma, ove ricopre il ruolo di Direttore della School of Government. È inoltre Direttore del Master in European Studies – da lui stesso fondato – ed è stato visiting professor e visiting scholar presso il St Antony’s College (Oxford), l’Institute d’Etudes Politiques (Parigi) e l’Ecole Normale Superieure (Cachan).
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1. Lo scorso 24 marzo Paolo Barelli è stato nominato nuovo Capogruppo di Forza Italia alla Camera, in sostituzione di Alessandro Cattaneo. Con questa decisione, è stato da più parti osservato, la famiglia Berlusconi avrebbe optato per un pieno allineamento di Forza Italia all’indirizzo politico generale impresso alla coalizione di Governo da Fratelli d’Italia. La dialettica interna agli azzurri vedrebbe ora prevalere i cosiddetti filo-governativi, capitanati da Antonio Tajani. La vicenda si inserisce in questo nuovo capitolo della storia del partito, che lo vede ormai da 5 anni jr partner della coalizione di centro-destra. Una circostanza dalla quale non sembra riaversi il partito, avvinto com’è in dispute che investono l’identità, i valori ma soprattutto la tattica. Quali logiche presidiano oggi l’azione politica di Forza Italia e la sua dialettica interna? Cosa può dirsi salvaguardato e cosa può dirsi perso della precedente storia?
Parto da quest’ultima domanda. Della precedente storia di Forza Italia può dirsi salvaguardato innanzitutto uno degli obiettivi principali di Silvio Berlusconi, ossia la costruzione di un’alleanza di centro destra che fosse in grado di candidarsi con successo al governo del paese e, soprattutto, di tenere lontane dal potere le detestate e temute sinistre. In questo, il partito attuale è del tutto in continuità col progetto originario. Resta poi ineliminabile dalla vicenda di Forza Italia la centralità assoluta di Silvio Berlusconi. Nel 2023 così come nel 1994, il partito rimane un’entità personale completamente subordinata alla sua volontà. Della precedente storia, invece, è stata perduta la vocazione maggioritaria di Forza Italia, che a suo tempo ebbe uno sviluppo ulteriore con la fondazione del Popolo della libertà: la capacità del partito di Berlusconi, e di Berlusconi stesso, di egemonizzare lo schieramento di centro destra. Oggi, com’è ben noto, l’alleanza che il Cavaliere ha fondato nel 1994 esiste ancora – solo, non la guida più lui, né la guida una forza politica centrista. Non è più un’alleanza di centro destra, insomma, ma di destra centro. Le logiche che presidiano oggi l’azione politica di Forza Italia e la sua dialettica interna discendono a mio avviso dal discorso appena fatto. C’è un elemento irrinunciabile: decide Berlusconi. E ce n’è uno appena meno irrinunciabile: Forza Italia è alleata a destra. È appena meno irrinunciabile perché è subordinato all’elemento precedente: se Berlusconi decidesse di rompere con Lega e FdI, teoricamente potrebbe farlo. Solo, non lo farà mai, perché ha sempre, coerentemente perseguito l’alleanza a destra. Tutto il resto – divisioni interne, maldipancia, occhieggiamenti al centro – sono increspature superficiali destinate a non andare da nessuna parte.
2. Dieci anni fa, in un suo libro: “Il berlusconismo nella storia d’Italia” (Marsilio, 2013), riteneva che dopo il 2006 vi fosse stato un Berlusconi senza berlusconismo mentre sarebbe stato impossibile un berlusconismo senza Berlusconi. Confermerebbe oggi questo giudizio? Entro quali coordinate politiche e culturali viene depositandosi il lascito storico di questa leadership?
Sì, lo confermerei. Il berlusconismo era animato da una grande spinta ottimistica, dalla persuasione che l’Italia fosse un Paese espansivo, vitale, e che il compito della politica fosse soltanto quello di accompagnare l’esplosione della società civile. In questo il berlusconismo – diversissimo dal trumpismo, coi suoi muri e la sua cupezza – era un autentico figlio degli anni Ottanta e del clima positivo che precede e segue la fine della Guerra Fredda. Quel clima comincia a disperdersi alla fine degli anni Novanta, prima ancora che Berlusconi abbia la sua vera prova di governo. Quando il Cavaliere torna al potere, nel 2001, l’atmosfera è già molto diversa, e l’11 settembre ci proietta definitivamente in un altro mondo. La “legislatura berlusconiana”, 2001-2006, segna a mio avviso la fine di quel berlusconismo, della “politica col sole in tasca”. Dopodiché, il lascito storico della vicenda politica di Berlusconi è ricco e molteplice, e molto in chiaroscuro: il bipolarismo, che dopo una parentesi decennale si sta adesso ricomponendo, è anche un lascito berlusconiano, così come lo sono la centralità della leadership e la sua sovraordinazione al partito, la semplificazione della comunicazione, l’antipatia nei confronti della politica come attività professionale. Si badi bene, però: tutti questi sono anche, non solo lasciti berlusconiani. Berlusconi ha in larga misura reagito a stimoli del suo tempo, è stato una conseguenza più che una causa.
3. I problemi di salute di Silvio Berlusconi e i quesiti connessi alle prospettive di Forza Italia hanno dato la stura a ipotesi e congetture varie sul futuro politico dei cosiddetti moderati. Le stesse tensioni tra i cosiddetti riformisti, pur originando apparentemente dal mancato amalgama tra le componenti costitutive, sembrano in una certa misura condizionate da questi calcoli. L’appuntamento delle europee 2024, in che misura può contribuire ad una revisione dei predetti “recinti” politici? È, a suo giudizio, plausibile uno spostamento a destra del baricentro politico dell’Unione europea per il tramite del Ppe?
Sì, secondo me è possibile. Non credo che sia così facile, però. Il Ppe è reduce da un lungo periodo di centrismo e di collaborazione, in Europa e in Germania, coi socialdemocratici. Da questa fase esce stremato: ha perso voti, si è diviso, ha visto indebolita la propria identità, ha lasciato spazio a destra ai cosiddetti populisti. Mi pare fisiologico che oggi ragioni su un cambiamento di strategia che lo riporti a destra, in alleanza coi conservatori. Dopodiché, lungo quella via ci sono almeno due ostacoli: il primo è interno al Ppe stesso, dove molti non sono affatto convinti che rilegittimare i conservatori sia la via giusta; e il secondo sono i liberali, Renew Europe, che per ragioni numeriche bisognerebbe portarsi nella nuova alleanza, ma che non paiono aver grande intenzione di allearsi coi conservatori. Credo che la partita sia aperta, e che dipenda da quel che faranno i vari partiti da qui al voto del 2024, ma soprattutto dai risultati elettorali: quanto saranno forti i conservatori e quanto riusciranno a imporre la propria presenza nella partita post-elettorale.