L’analisi di FBLab, il Centro studi specializzato in analisi del contesto politico-istituzionale di FB&Associati.
di Fulvio Lorefice
Le crisi si succedono. Il Medio-Oriente surclassa l’Ucraina, la quale a sua volta aveva arbitrariamente archiviato la stagione pandemica. Il paesaggio internazionale subisce così continue riconfigurazioni, le alleanze si fanno cangianti, intere parabole politiche si consumano nel volgere di settimane. La fissità dei protagonisti contrasta con il brulicare sullo sfondo di nuove potenze, che insistono per rivedere la struttura delle relazioni internazionali. Una richiesta politicamente più forte dopo la crisi in Medio-Oriente e il “doppio standard” rispetto all’Ucraina, esibito dall’Occidente. Intanto l’esito della COP 28 di Dubai restituisce un po’ di smalto al multilateralismo. Seppur imperfetto e impegnativo si tratta dell’unico strumento a disposizione per affrontare le sfide della contemporaneità, a partire dal global warming.
Sulla scena si intravede l’ombra di Donald Trump. È solo un’ombra, si vota a novembre negli Stati Uniti, ma nelle segrete stanze delle cancellerie tutti si interrogano. L’Europa di suo non vorrebbe pensarsi maggiorenne. Eppure, in termini di integrazione, l’occasione non colta col nuovo Patto di Stabilità e Crescita potrebbe ripresentarsi proprio col ritorno di Trump alla Casa Bianca. Una spinta integrazionista è prevedibile arrivi anche dal rapporto Draghi sulla competitività. Fino ad allora è tuttavia improbabile che Germania e Francia possano destarsi dal torpore in cui le rispettive difficoltà domestiche le hanno fatte sprofondare.
In questo scenario è immersa l’Italia e il suo sistema politico-economico. Il corso di una media-potenza risente delle grandi tendenze internazionali. In questo il presidente del consiglio, Meloni, ha fatto mostra di abilità, collocando anzitutto il suo partito dalla parte di Kiev, fin da quando era all’opposizione del Governo Draghi. L’atlantismo è del resto premessa di legittimazione politica per chi ambisce a governare in Italia. Politicamente più costosa è risultata invece l’adesione ai diktat di bilancio comunitari. Un passo indietro, confida Meloni, per farne due avanti dopo le prossime elezioni europee. Forte di questi due gusci viene muovendosi il governo italiano, che vanta: la legittimazione internazionale del suo Presidente del Consiglio, appunto; la positiva implementazione del PNRR; l’approvazione dei conti pubblici da parte delle agenzie di rating; lo spread sotto controllo; i dati relativi all’occupazione. Di contro, in prima battuta, si può notare: dopo la parentesi pandemica, il ritorno del Paese nell’alveo della crescita asfittica dell’ultimo trentennio; la perdita del potere d’acquisto a causa dell’inflazione, con le conseguenze sociali che si possono immaginare; la recrudescenza dell’immigrazione irregolare, di cui i (temporanei?) flop degli accordi con Tunisia e Albania sono ulteriore testimonianza. Ancorché frammentario il quadro che si ricava sarebbe dunque in chiaroscuro. Eppure, i sondaggi certificano la forza di Meloni, prima ancora che di Fratelli d’Italia o della coalizione di centro-destra. Una circostanza che chiama fisiologicamente in causa i limiti dell’opposizione, come si evince nitidamente dalla vicenda degli extraprofitti bancari.
Il 1° gennaio 2024 l’Italia ha assunto la presidenza del G7, si profila così un ulteriore rilancio dell’attivismo internazionale del Presidente del Consiglio. In termini programmatici dovrebbe essere l’anno delle riforme di fisco, giustizia e lavoro, sempre che non si renda necessaria una manovra correttiva dopo le elezioni europee. Resta sullo sfondo il tema della ratifica della riforma del Meccanismo europeo di stabilità (Mes).