A cura di
FBBubbles, Divisione strategie advocacy di FB&Associati
Via via che le misure per il contrasto alla pandemia producono i loro effetti, consentendoci – auspicabilmente – di tornare a vivere e lavorare normalmente, si fa strada nel dibattito pubblico la questione delle riforme. Condizione necessaria non solo per accedere, ma anche per utilizzare al meglio le risorse del PNRR, da qualche mese il Governo ha accelerato il percorso di realizzazione di interventi strutturali, quali quelli su concorrenza, fisco, giustizia e lavoro. Proprio in questo ambito, come in altri, sembrerebbero registrarsi gli effetti di quello che potrebbe essere definito come “metodo Draghi”: ascoltare, mediare, comporre le eventuali divergenze e, infine, decidere. Dall’introduzione del green pass sui luoghi di lavoro sino al blocco licenziamenti, lo schema decisionale appare riproporsi – con le dovute specificità – tutto sommato invariato: dapprima, lo scontro; successivamente, il confronto; infine, la decisione, assunta non unilateralmente ma condivisa da tutti gli attori in gioco.
Per comprendere la direzione che gli interventi in materia di lavoro potrebbero prendere, anche e soprattutto sotto il profilo del modus operandi, è opportuno verificare quali siano le posizioni delle parti sociali coinvolte, e se le stesse siano o meno convergenti e conciliabili. Per questo motivo FB Bubbles, divisione di FB&Associati specializzata in analisi del dibattito pubblico e campagne di advocacy, ha preso in esame le dinamiche del dibattito social e politico-istituzionale, con uno specifico focus sulle posizioni espresse da Sindacati, Confindustria e Governo in materia di riforme del settore del lavoro, per tentare di comprendere come il c.d. “metodo Draghi” si sia imposto anche nel dibattito relativo alle riforme del settore.
In attesa che gli animi si scaldino sulla riforma degli ammortizzatori sociali – attesa nella prossima Legge di Bilancio – numerose sono state le occasioni in cui, da un iniziale contrasto tra i soggetti coinvolti, è stato possibile addivenire ad una soluzione condivisa. Si pensi, ad esempio, alla spinosa questione del blocco dei licenziamenti. Le divergenze, in quell’occasione, si sono manifestate già nei primi passi dell’iter parlamentare del DL Sostegni-bis. L’aumento delle tensioni e l’inasprimento dei toni tra le parti sociali si sono verificati tanto nelle Istituzioni quanto sui social, con la diffusione di messaggi precisi ed incalzati. Nel dettaglio, sono tre i fattori attraverso cui gli attori coinvolti hanno manifestato un crescendo di urgenza sul tema: moltiplicazioni delle uscite tematiche, peggioramento del sentiment, specialmente nei confronti di immobilismo e staticità decisionale, ed esasperazione di specifici concetti. Questi elementi,nonché l’annuncio di nuove mobilitazioni, hanno spinto il Ministro Orlando a convocare Sindacati e Confindustria e a trovare, dopo una lunga trattativa, una soluzione che impegnava le aziende a utilizzare gli ammortizzatori sociali prima di procedere ai licenziamenti.
Questo schema decisionale sembrerebbe essere stato riproposto anche per un altro tema particolarmente divisivo, ossia quello dell’introduzione del green pass sui luoghi di lavoro. Se, inizialmente, le posizioni di Sindacati e Confindustria non sembravano convergere – con i primi più reticenti e la seconda favorevole all’introduzione del certificato – l’intervento dell’Esecutivo avrebbe definitivamente dissipato ogni dubbio, non certo imponendo alle parti una decisione, ma veicolandola efficacemente, attraverso confronto e mediazione.
Stessa sorte potrebbe toccare alla riforma delle politiche attive del lavoro e alla disciplina dello smart working sulle quali – pur non essendosi registrate soluzioni definitive – è possibile ipotizzare che il Governo giocherà, anche in questa occasione, un ruolo centrale, di mediazione e composizione, che consenta di ridurre le distanze esistenti – che emergono tanto nel dibattito parlamentare quanto sui social – e trovare una soluzione condivisa. Tutte le parti ribadiscono l’impossibilità di riformare gli ammortizzatori sociali slegandoli dalle politiche attive del lavoro, mentre per lo smart working – a fronte del silenzio di Confindustria – le sigle sindacali convergono nel dichiarare – tanto in Parlamento quanto sui social – l’urgenza di un reale ricorso alla contrattazione collettiva e l’indisponibilità a lasciar disciplinare una materia così importante a relazioni e accordi individuali.
Lo spirito di convergenza che si è delineato in occasione delle discussioni di cui si è dettosembrerebbe essersi manifestato plasticamente in due momenti: nel corso dell’Assemblea Generale di Confindustria del 23 settembre ed in occasione dell’assalto alla sede della CGIL. Nella prima, infatti, il Presidente Bonomi ha espressamente chiamato all’unità le parti sociali, evocando la stipulazione di un “Patto per l’Italia” tra Sindacati ed organizzazioni datoriali; nella seconda, la comunanza d’intenti si è espressa in un abbraccio: quello tra il Presidente Draghi ed il Segretario Generale della CGIL Maurizio Landini, diventato immediatamente virale con un volume di engagement che supera le 20mila condivisioni in 48 ore. D’altro canto, che l’assalto alla sede della CGIL sia un punto fermo nella narrazione tematica è fuori da ogni dubbio, e a darne una riprova quantitativa arrivano i numeri della rete: le 395mila interazioni – di cui 16mila nei primi due giorni – rivelano come il web sia stato non solo una cassa di risonanza dell’unanime condanna, ma anche il luogo in cui la convergenza delle parti sociali si è esplicitamente palesata.
Trarre le conclusioni da un dibattito così frastagliato è complesso. Comunque, potrebbero individuarsi alcune indicazioni di fondo, utili per comprendere come proseguirà la discussione. In primis, sul rapporto tra Parti sociali e Governo. A differenza di altri settori, quello del lavoro è un ambito nel quale le rappresentanze non svolgo un ruolo di mera testimonianza. Sindacati ed Associazioni dei datori, infatti, plasmano, nell’ambito della cornice fissata dal legislatore, le regole alle quali imprese e lavoratori debbono attenersi. In questo senso, la contrattazione collettiva assume una rilevanza tale che è possibile ipotizzare che, diversamente da altre occasioni, il Governo potrebbe non comportarsi come unico propulsore delle riforme, ma, piuttosto, svolgere un ruolo di mediazione, in uno spirito di concertazione, collettando le diverse opinioni emerse nel corso di audizioni ed incontri e delineando una proposta complessiva che consenta di far convergere e bilanciare le posizioni degli uni e degli altri. Inoltre, per come si è concretamente articolato, il dibattito tra Sindacati e Confindustria sembrerebbe palesare un atteggiamento dialogante, tale per cui le posizioni appaiono sì divergenti ma non inconciliabili. È bene domandarsi quali siano le motivazioni che, in alcune occasioni, hanno permesso alle parti sociali, dopo un’iniziale divergenza, di convergere. Due sembrerebbero essere le possibili spiegazioni: da un lato, l’autorevolezza del Premier, che consente agli attori coinvolti di affidarsi – e fidarsi – delle scelte di mediazione assunte; d’altro canto, non può ignorarsi che la situazione di profonda crisi dalla quale l’Italia sta faticosamente cercando di uscire potrebbe indurre i soggetti coinvolti in importanti processi di cambiamento della società ad abbandonare posizioni ideologiche, e procedere – per quanto possibile – nella stessa direzione. Più che in passato, quindi, potrebbero essere stati fatti significativi passi avanti nella costruzione di quel “Patto dell’Italia” evocato da Bonomi nel discorso all’Assemblea generale del 23 settembre, e ripreso anche dal Premier Draghi sotto forma di patto “economico, produttivo e sociale del Paese”, per innovare il mercato del lavoro, disegnare strategie di lungo periodo, mettendosi – per usare nuovamente le parole del Presidente del Consiglio – “seduti tutti insieme e comunicare a parlare di quello che si fa”.