Nel corso degli ultimi anni ho sempre cercato di aggiornarmi professionalmente leggendo molto sulle dinamiche evolutive dei gruppi di interesse, soprattutto negli Stati Uniti che rappresentano il contesto più favorevole e strutturato per lo sviluppo di sempre nuove forme di rappresentanza.
Mi sono spesso imbattuto in storie particolari, curiose come le persone in esse protagoniste. Una di queste è Shannon Watts, la fondatrice della Moms Demand Action.
Ci sono almeno tre elementi peculiari e rilevanti:
• si inserisce in una delle arene di policy più controverse, divisive e al tempo stesso consolidate: quella del controllo delle armi da fuoco,
• riguarda un nuovo gruppo d’interesse che in pochissimo tempo grazie anche ai social media, diventa sempre più centrale all’interno di quel contesto;
• Ia sua capacità aggregativa e comunicativa la porta ad essere uno dei soggetti più rilevanti all’interno di una coalizione che, dopo tanti anni di sforzi, raggiungerà finalmente un risultato di policy concreto e misurabile.
Quando si parla di armi da fuoco immediatamente, quasi come un riflesso pavloviano, si pensa alla famosa (secondo alcuni famigerata) NRA: la National Rifle Association che da sempre rappresenta gli interessi dei produttori e dei possessori di armi da fuoco. E che difende, in modo eccezionalmente efficace, il diritto di ogni cittadino ad acquistare e detenere un’arma.
Assai meno esplorato il fronte avversario, e cioè i vari gruppi e associazioni che si battono per ottenere una legislazione meno permissiva rispetto quella attuale. In questo arcipelago si colloca Shannon Watts.
Madre di 5 figli, un passato professionale nel settore della comunicazione di grandi aziende, nel 2012 è una mamma a tempo pieno. Proprio quell’anno avviene il massacro nella scuola elementare di Sandy Hook, una cittadina del Connecticut, dove uno squilibrato entra nell’edificio sparando all’impazzata ed uccidendo 20 bambini e 6 insegnanti con pistole e fucili legalmente in possesso della madre.
Uno dei peggiori atti di violenza nella storia degli Stati Uniti. Sconvolta, immediatamente si attiva ricercando on line gruppi e organizzazioni che si battono per un maggior controllo delle armi da fuoco. E scopre che tutti quelli esistenti sono guidati da uomini.
Per questo motivo decide di crearne uno nuovo su Facebook: One million Moms for gun control. Il messaggio è chiaro: ogni cittadino può e deve fare di più per ridurre il tasso di violenza derivante dalla massiccia presenza di armi da fuoco, perfettamente legali, nelle famiglie americane. Ma il soggetto attivatore di questa nuova coscienza non possono che essere le donne, a partire dalle mamme. “Women are the secret sauce to organizing” il suo motto. La nascita di questo gruppo d’interesse è molto significativa dal momento che è la dimostrazione della grande fluidità del sistema di rappresentanza negli Stati Uniti e dell’incredibile impatto che i social media hanno nell’aggregare istanze e sensibilità, spesso “disperse”, in un unico centro di rappresentanza.
In pochissime settimane il gruppo si trasforma in un vero e proprio movimento ma ancora poco strutturato. E la prima delusione avviene dopo circa un anno di attività. Nel 2013 infatti il Presidente Obama deve subire una delle più cocenti sconfitte politiche del proprio mandato quando il suo tentativo di rivedere in senso restrittivo la normativa sulle armi da fuoco viene respinto dal Congresso.
Le cronache politiche raccontano che gli staff dei singoli parlamentari, nei giorni e nelle ore immediatamente precedenti alla votazione, ricevettero migliaia di telefonate dai propri elettori: con una proporzione di 7 contrari al provvedimento restrittivo e 1 a favore.
È partendo da quel dato, inequivocabile, che Shannon Watts sviluppa la propria azione. Con una strategia pragmatica ed adattativa da manuale.
Per prima cosa modifica il nome del movimento da lei fondato: parlare di “gun control” rischia di circoscrivere la capacità espansiva, di limitarne la crescita entro dei recinti già coperti da altre associazioni e per questo minoritari nella società. Moms Demand Action è meno divisivo ma altrettanto efficace.
E seguendo i consigli di Debbie Wier, a quel tempo CEO della “Mothers Against Drunk Driving” (anche questa storia meriterebbe un approfondimento…) decide di non limitarsi all’attivismo on line ma di utilizzare la rete come strumento facilitatore per creare una solida struttura organizzativa “fisica” con una propria rappresentanza in ogni singolo Stato dell’Unione.
Decine di migliaia di volontari, riconoscibili da una maglietta rossa con il logo dell’associazione, danno vita ad una serie di iniziative sostenendo i candidati più liberali, attirando l’attenzione dei media locali e nazionali, chiedendo misure normative, in ogni arena di policy possibile, per limitare la diffusione delle armi da fuoco.
Dando un volto alla campagna (il suo) e attaccando direttamente l’avversario (l’NRA di cui sopra e i suoi gruppi affiliati) enfatizzando le posizioni meno ragionevoli e di semplice difesa di uno status quo normativo sempre meno giustificabile.
E infine costruendo un’ampia coalizione con altri gruppi d’interesse primo tra tutti quello dell’ex Sindaco di New York Michel Bloomberg, il “Mayor against illegal guns”, che riuniva centinaia di sindaci attorno alla richiesta di policy maggiormente restrittive sulle armi da fuoco.
Si crea così “Every town for Gun Safety”, un gruppo d’interesse molto ben finanziato che può vantare oltre dieci milioni di sostenitori.
Arriviamo così all’anno scorso quando gli sforzi del movimento e della sua fondatrice vengono finalmente premiati: il congresso approva, su impulso della Presidenza Biden, il “Bipartisan Safer Communities Act”, la prima legge federale in 26 anni che fissa limitazioni alla vendita di armi da fuoco.
Controlli obbligatori molto più accurati sugli acquirenti al di sotto dei 21 anni, estensione del divieto di acquisto e possesso per coloro che hanno subito condanna per abusi domestici, finanziamenti aggiuntivi per gli Stati che hanno una legislazione più avanzata “contro” la libera circolazione delle armi, ed altro. Risultati che a noi sembrano di poco conto, influenzati dalla nostra cultura assai distante da quella americana.
Ma che in quel paese segnano un’inversione di tendenza. Anche perché, a differenza di 9 anni prima, la coalizione guidata da Shannon Watts riesce a mobilitare le costituencies più delicate: oltre un milione tra messaggi e telefonate arrivano in questo giorno agli uffici dei membri del congresso impegnati nel voto: con una proporzione, questa volta, di 10 a 1 per i sostenitori della legge.
Campagna di advocacy + drafting normativo + proposta di policy + lobbying + mobilitazione massiccia (grassroot lobbying): gli ingredienti di una ricetta vincente.
Per questo la scelta di Shannon Watts di dimettersi a fine di quest’anno dalla carica di Presidente della “sua” associazione ha destato un grande scalpore e tanti interrogativi sui media e soprattutto nella comunità politica a Washington su quale sarà il suo futuro. Che molti ritengono sarà in politica.