Il conflitto in Ucraina continua a catalizzare l’attenzione di giornali, politica e pubblica opinione. Il dibattito segue l’evolversi degli scontri, cercando di ritagliarsi spazi per emergere. A poco più di un anno dalle elezioni, non deve sorprendere se le forze politiche cavalchino i temi più caldi per fissare paletti, mettere bandierine e, in definitiva, rinsaldare le proprie posizioni. Tra rotture conclamate e battaglie silenziose, la spesa militare ha rappresentato un vero e proprio stress test per le coalizioni che, con l’avvicinarsi dell’appuntamento elettorale, hanno necessità di stabilire (o ribadire) il proprio equilibrio interno e i rapporti di forza.
Per questo motivo FBBubbles, divisione di FB&Associati specializzata in analisi del dibattito pubblico e campagne di advocacy, ha preso in esame le dinamiche del dibattito social e politico-istituzionale sulle spese militari per provare a comprendere l’impatto che lo stesso ha avuto sulla tenuta dei due blocchi di coalizione (centrodestra e centrosinistra), anche in vista della prossima tornata elettorale.
Pur risalendo la questione a quasi otto anni fa, solo recentemente l’argomento delle spese militari ha acquisito centralità nel dibattito, raccogliendo oltre 146mila menzioni e un volume di engagement di circa 1.5 milioni diinterazioni. È stato soprattutto il braccio di ferro tra Draghi e Conte a impennare le conversazioni ed incrinare i rapporti interni alle coalizioni.
Il categorico “no” dell’ex Premier Conte sembrerebbe sostenuto da due strategie: l’accreditamento interno (è significativo che abbia corrisposto con la sua rielezione alla guida del Movimento) e il posizionamento esterno. Lo scontro, quindi, sarebbe generato dalla duplice necessità di acquisire autonomia all’interno della coalizione e, di conseguenza, rendersi più riconoscibile agli occhi degli elettori. L’importanza del tema per il M5S sembrerebbe confermata dall’attivismo online del partito, con oltre 145 attori istituzionali coinvolti sul tema.
L’acceso confronto tra le forze politiche si è consumato principalmente online, probabilmente perché l’esigenza di emergere mal si conciliava con le lungaggini delle procedure parlamentari. Complessivamente, sono stati quasi 260 gli attori istituzionali che, dall’inizio della guerra ad oggi, si sono esposti in rete sul tema (a fronte di meno di 50 atti parlamentari presentati). Solo il Gruppo Misto, che possiede una scarsa cassa di risonanza fuori dall’arena istituzionale, si è attivato più degli altri in Parlamento.
L’unico momento istituzionale che ha visto accendersi il dibattito è stata la discussione sul DL Ucraina. La presentazione dell’ordine del giorno di FdI, con cui si chiedeva al Governo di rispettare gli impegni sull’aumento delle spese militari, ha rappresentato la proverbiale miccia incendiaria. Da lì in avanti, le forze politiche – coerentemente con quanto fatto in rete – hanno riversato le proprie posizioni all’interno delle Aule parlamentari, generando frizioni e scontri anche all’interno delle singole coalizioni.
Nel nuovo centrosinistra l’attrito è stato evidente. Da un lato, il PD ha accusato il M5S di strumentalizzare la questione e, in tutta risposta, Giuseppe Conte ha difeso l’operato suo e del Partito rivendicando l’autonomia del Movimento anche, e soprattutto, rispetto agli alleati. “Non siamo la succursale di nessuno” ha tuonato in una diretta social del 31 marzo Conte – con una eco mediatica di oltre 300mila interazioni – mentre i dem sostenevano con forza la necessità degli investimenti in sicurezza militare per difendere le democrazie liberali. Tra le pieghe della frattura tra 5S e PD si è inserito il Partito di Matteo Renzi che, sostenendo la posizione di Letta, ha accusato sui social il Movimento di “populismo ipocrita” (Boschi). Alla crisi dell’asse M5S-PD sembrerebbero fare da contraltare, apparentemente, le basi per una riappacificazione tra dem e Italia Viva.
Anche il centrodestra non gode di salute migliore. Lo scontro interno per conquistare la leadership della coalizione vede nuovamente contrapposti Giorgia Meloni e Matteo Salvini. Se, da un lato, FdI ha affermato la necessità di garantire l’aumento delle risorse in questo settore, dall’altro la Lega ha perorato la propria causa pacifista, deplorando il “furore bellicista” (Romeo) e chiedendo di moderare i toni. Nel mezzo si posiziona Forza Italia che, per bocca del suo fondatore (con un engagement di oltre 3300 interazioni) cerca la mediazione: sì all’aumento delle risorse in armamenti ma verso il coordinamento delle spese militari in ottica europea.
Nel fuoco dei due fronti spicca Nicola Fratoianni, leader di Sinistra Italiana, contrario all’aumento della spesa militare, che ha condiviso sui propri canali social oltre 70 contenuti in cui, nella maggior parte dei casi, ha posto il focus sul confronto tra spese militari e spese per la salute, catalizzando quasi 13mila interazioni.
Conclusioni
Al di là del merito, il tema delle spese militari sembra fungere da utile cartina di tornasole per valutare lo stato di salute delle coalizioni. L’esplosione delle frizioni nel centrosinistra, fino ad ora sottotraccia, ed il riproporsi della battaglia interna al centrodestra, dà l’idea della fragilità degli attuali schieramenti, che mutano, si fanno e disfano alla bisogna. È presto per definire, con certezza, le alleanze con cui i Partiti si presenteranno agli elettori nel 2023 ma, con tutta probabilità, ogni rilevante argomento che dovesse affacciarsi nell’agone mediatico potrebbe essere trattato come veicolo di posizionamento, che consenta ai Partiti di ribadire le priorità, correggere il tiro e differenziarsi tanto dagli avversari quanto (e soprattutto) dagli alleati: la campagna elettorale è appena iniziata.