Transizione ecologica: tra dibattito e consenso mainstream, è la politica che decide

Spesso il dibattito pubblico sulla transizione ecologica si è diviso tra i sostenitori tranchant della necessità di contrastare il cambiamento climatico – che sostengono come sia la scienza a dire inequivocabilmente quali siano le migliori soluzioni per invertire la rotta – e quelli che, al contrario, confidano nella necessità che sia la politica a dettare la linea. Come spesso accade – soprattutto quando si affrontano tempi complessi e con numerose possibili sfaccettature – la soluzione sta nel mezzo.  Se, da un lato, è vero che la scienza ha indicato chiaramente gli obiettivi da raggiungere – ossia, la neutralità climatica entro il 2050 – è pur vero che sono i pubblici decisori, sia nazionali che internazionali, a dover fare una scelta e stabilire quali siano gli strumenti migliori per raggiungere quell’obiettivo.

FB Bubbles, divisione di FB&Associati specializzata in analisi del dibattito pubblico e campagne di advocacy, ha preso in esame le dinamiche del dibattito social e politico-istituzionale relativamente al tema della transizione ecologica, dove sulla scia dell’attenzione globale sulla COP 26 di Glasgow, sono state prese in esame sia le posizioni espresse dai leader internazionali che nazionali con l’obiettivo di rilevare quanto, a fronte di un portata aggregatrice e mainstream del tema, le posizione di leader e decisori non siano in alcun modo altrettanto aggregate.

Che l’ambiente sia importante mette tutti d’accordo, ma è al momento di decidere che si apre lo scontro.   

Cop26: le posizioni del dibattito pubblico

There is no planet B: con questo slogan ragazze e ragazzi di ogni Paese, riuniti nel gruppo Fridays for Future, continuano a riempire piazze fisiche e virtuali in tutto il mondo per chiedere ai leader della Terra di rispettare gli impegni sull’ambiente e soprattutto di agire.

Questo magmatico movimento giovanile sembrerebbe aver fatto convergere tutte le proprie aspettative su uno specifico evento: la #Cop26. Dal 31 ottobre al 12 novembre 2021, infatti, si è svolta la 26a Conferenza delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici, a Glasgow. In questa occasione i leader di oltre 190 paesi si sono riuniti per presentare i piani aggiornati di riduzione delle proprie emissioni, impegnandosi per raggiungere la neutralità climatica entro e non oltre il 2050.

Con oltre 120 mila menzioni negli ultimi due mesi, il dibattito sulla Cop26 ha raccolto online un engagement di quasi un milione di interazioni tra condivisioni di articoli e reaction ai contenuti social. L’evento però, più che rilevare una generale soddisfazione per gli obiettivi posti o raggiunti, sembra far scaturire una serie di interrogativi e di criticità. I progetti per il raggiungimento di un pianeta più pulito sembrano, infatti, dover fare i conti con la realtà. Lo testimoniano le uscite media più cliccate relative a quella che è stata definita l’ipocrisia dei partecipanti alla Cop26, atterrati a Glasgow con oltre 400 jet privati e associati all’industria dei combustibili fossili, ma anche i polemici commenti del premio Nobel Giorgio Parisi, che ha sottolineato come l’aumento del Pil sia un fattore in contrasto con lotta al riscaldamento globale, e l’ambizione di raggiungere emissioni zero sarebbe una mera illusione senza un piano preciso e condiviso da parte degli attori in gioco. D’altro canto, cresce – come emerge dall’intervento di Urso, Presidente del Copasir di FdI – la preoccupazione per i costi sociali che la cosiddetta transizione ecologica ed energetica potrebbero far emergere. Inoltre, la Conferenza sembrerebbe aver posto dei dubbi sulla leadership europea in questo specifico settore e parrebbe mettere in evidenza, ancora una volta, come i singoli Paesi preferiscano adottare politiche che – pur ponendosi obiettivi comuni – prediligono gli interessi nazionali e le necessità del singolo Paese.

Le posizioni dei partiti: 5S in testa, FdI ondivago

Nel Belpaese, si conferma il forte interesse ai temi climatici da parte del Movimento 5 Stelle, sia sui social che nelle istituzioni. In Parlamento, tra le diverse forze politiche, sui temi legati alla transizione ecologica il 27.3% degli atti è stato presentato proprio dal Movimento di Conte, in coerenza con il posizionamento, originariamente radicale poi rivisto, del partito di Grillo. Coerente anche il fronte dei social network, dove le conversazioni tematiche sono state presidiate dai pentastellati, tanto dal punto di vista numerico quanto per l’engagement generato dalle uscite. Giuseppe Conte e Luigi Di Maio risultano infatti gli stakeholder istituzionali più performanti, ossia i cui contenuti social hanno ottenuto il maggior seguito online sia sulla #Cop26 (con 278.750 interazioni) che, in generale, sulla transizione ecologica (con 32.130 reaction). Il Movimento, reiterando una posizione ben ferma nel proprio DNA, si posiziona quindi tra gli attori istituzionali che spingono verso la transizione ecologica, senza se e senza ma.

Un interesse uguale e contrario sembrerebbe connotare, invece, l’attività di Fratelli d’Italia – almeno nelle istituzioni, considerata la sostanziale assenza dai social – al secondo posto tra i partiti italiani per numero di atti presentati in Parlamento. Nonostante questo, l’interesse del partito di Giorgia Meloni sembrerebbe essere non tanto quello della pura e semplice tutela ambientale, quanto più di bilanciare gli obiettivi di transizione ecologica con la tutela del tessuto produttivo italiano.

In una sorta di limbo sembrerebbero, invece, posizionarsi Partito Democratico e Lega. Sotto il punto di vista quantitativo, infatti, il Partito di Enrico Letta ha presentato l’11% degli atti parlamentari sul tema – che, se si pensa al peso parlamentare ben maggiore rispetto a FdI, rappresenta una percentuale piuttosto esigua; stesso dicasi per la Lega, che si intesta meno del 10% degli atti. Discorso analogo vale per i volumi del dibattito social che vede una scarsa partecipazione dei democratici e dei leghisti. Unico dato leggermente distonico dalla narrazione parlamentare è il maggior, seppur limitato, coinvolgimento sul tema transizione ecologica del Carroccio, che con 44 attori istituzionali attivi è il terzo gruppo più attivo in rete, ampiamente staccato dal M5S e dal gruppo Misto.

Uno sguardo internazionale

Ampliando il campo di indagine al livello internazionale, emerge un dettaglio significativo: a fronte di una comunanza di intenti e obiettivi quella che sembrerebbe mancare è una verticalità procedurale e organizzativa tesa a fornire ai Paesi linee guida precise e una strategia globale da seguire passo per passo. È come se tutti i Paesi dovessero percorrere la stessa strada, ma con mezzi diversi. Se Mario Draghi, Joe Biden, Angela Merkel ed Emmanuel Macron individuano obiettivi puntuali, rispettivamente “investire in tecnologie innovative per la cattura del carbonio”, la “riduzione delle emissioni di gas degli Stati Uniti di almeno il 50% entro il 2030”, “la tariffazione della C02” in tutto il mondo e “un aumento delle temperature che non superi 1,5 gradi”; Boris Johnson e Pedro Sanchez si concentrano maggiormente sull’aspetto economico confidando l’uno nel coinvolgimento del “settore privato, in grado di mobilitare trilioni”, e promettendo l’altro di “aumentare i finanziamenti governativi per il clima”. 

È rilevante notare anche l’intensa attività social del profilo ufficiale del Pontefice. Con oltre 8 tweet il Santo Padre ha ricordato come non sia più il tempo di aspettare, bensì di “agire con urgenza, coraggio e responsabilità per preparare il futuro”. La sensibilità di Papa Francesco sui cambiamenti climatici è comprovata dall’incontro del 4 ottobre scorso con vari leader religiosi e scienziati per firmare un appello congiunto in vista della Cop26. L’ispirazione per questo incontro, che è stato preceduto da mesi di intenso dialogo, è stata, secondo i termini dell’appello, “la consapevolezza delle sfide senza precedenti che minacciano noi e la vita nella nostra magnifica casa comune […] e della necessità di una sempre più profonda solidarietà di fronte alla pandemia globale e alla crescente preoccupazione per la nostra casa comune”.

Anche sull’ambiente, politica e consenso giocano ruoli diversi

Il tema più che scientifico sembra essere, dunque, politico. Le diverse posizioni in campo, sostenute non certo da una sparuta minoranza ma da ampie porzioni dell’arco politico ed istituzionale, dimostrerebbero come, stante il consenso generale sull’obiettivo comune da raggiungere, non vi sia una singola soluzione, indiscutibile e sempre valida. Ed è proprio la necessità di scegliere, ponderare e considerare tutte le possibili variabili in campo che rende l’argomento, per sua stessa natura, politico.

Se la scienza ci può dire da quali fattori dipende il cambiamento climatico, d’altro canto nessuna disciplina scientifica ci permette di calcolare qual è la soluzione migliore a un problema tanto complesso, dato che il concetto di “soluzione migliore” implica, come scritto da alcuni attenti osservatori, una prospettiva individuale, legata al singolo Paese. Si pensi ad esempio alla querelle tra il Ministro Cingolani ed alcune associazioni ambientaliste: due interlocutori, due posizioni – spesso diametralmente opposte – ed un unico obiettivo. Il dialogo serrato tra i vari attori coinvolti dimostra, ancora una volta, che la questione della transizione green è squisitamente politica e come la scienza, al più, possa dare un contributo, ma senza sostituirsi alle scelte del decisore pubblico.

Proprio per questo motivo ogni decisione spetta proprio alla politica, unica variabile in grado di soppesare diversi interessi – a volte contrastanti – e permettere che il percorso verso la piena neutralità climatica sia compatibile con il tessuto produttivo, sociale ed economico di ciascuna singola Nazione.