Dopo più di settant’anni la guerra bussa di nuovo alle porte d’Europa. A poco più di un anno dalla fine della legislatura, l’invasione dell’Ucraina da parte della Russia ha creato scompiglio, tanto nel dibattito pubblico quanto in quello istituzionale, e sparigliato le carte sulla tavola della politica. La prima reazione, comprensibilmente emotiva, ha portato alla condanna trasversale dell’aggressione. Tutte le forze politiche, anche quelle che nel Presidente Putin individuavano un interlocutore affidabile, si sono espresse con toni forti per condannare l’iniziativa militare russa.
Il rapido susseguirsi degli eventi, ancora in corso, ha portato l’Italia, l’Europa e l’intero Occidente a reagire, spesso in modo disorganico, ma verso una soluzione comune: le sanzioni. Ed è proprio sulle sanzioni, soprattutto sulle conseguenze che produrranno sulle economie dei singoli Paesi, che l’iniziale concordia ha iniziato a disgregarsi. L’appuntamento elettorale così ravvicinato potrebbe aver spinto le forze politiche a ribadire le proprie posizioni. L’energia, l’aumento dei prezzi della benzina, i rincari delle materie prime: tutti argomenti sui quali il confronto tra i partiti si è riacceso, con il consueto vigore.
Per questo motivo FBBubbles, divisione di FB&Associati,specializzata in analisi del dibattito pubblico e campagne di advocacy, ha preso in analisi il dibattito sviluppatosi nelle arene social e politico-istituzionali, per fotografare lo status quo del confronto sul conflitto in Ucraina e, soprattutto, cercare di comprendere se le uscite delle forze politiche sulle conseguenze delle sanzioni possano essere considerate come strumento di posizionamento, anche in vista del ravvicinato appuntamento elettorale.
Come facilmente intuibile, non ci sono dichiarazioni politiche esplicite che possano contribuire a rispondere al nostro interrogativo. Dettami e regole del gioco impongono un tacito divieto di affermare che il posizionamento di un partito sia condizionato da finalità elettorali, tanto più quando il tema sono le sanzioni ad un Paese che da più di 20 giorni ha invaso uno Stato alle porte dell’Europa ma al quale, da un punto di vista energetico, siamo legati a filo doppio.
Infatti, delineando una word cloud delle tematiche maggiormente discusse nelle conversazioni online sul voto imminente, balza subito all’occhio come argomenti quali sanzioni, Ucraina e guerra rivelino una correlazione piuttosto significativa, rispettivamente del 30%, 18% e 12%. Dunque, se non è esplicitamente la politica a confermarlo, le declinazioni del dibattito pubblico aiutano a interpretare la rinnovata presa di posizione dei partiti come una tendenza, più o meno fisiologica, dell’universo partitico a distinguersi su singole issue in clima elettorale.
Sotto il punto di vista istituzionale, dallo scoppio delle ostilità il Governo ha reso tre informative sul conflitto in Ucraina. Per tre volte, in poco più di venti giorni, il Ministro degli Esteri Di Maio ed il Premier Draghi hanno informato il Parlamento sui tumultuosi sviluppi della vicenda. La prevedibile centralità, nel dibattito politico, della questione ucraina è confermata anche dalla mole di atti di sindacato ispettivo, indirizzo e controllo presentati: ben 104 negli ultimi 21 giorni.
L’evolversi del conflitto e la progressiva presa di coscienza delle possibili conseguenze che la reazione dell’Occidente avrebbe potuto generare ha fortemente condizionato il dibattito. Scorrendo gli interventi della prima informativa (del 25 febbraio) si leggono parole di condanna, solidarietà ed auspicio per una rapida cessazione delle ostilità. L’ampio respiro delle considerazioni svolte in quell’occasione ha, via via, lasciato spazio ad un approccio più pragmatico. Si è passati, infatti, dalla speranza di un’azione europea più coordinata alla necessità di intervenire sulle nostre fonti energetiche e sulla loro diversificazione. Le stesse parole dei rappresentanti del Governo sembrerebbero segnare, tra un’informativa e l’altra, un deciso cambio di passo: mutamento dell’ordine “internazionale che fu costruito alla fine della seconda guerra mondiale”, prima, e possibilità di adottare ristori una tantum per mitigare i costi dell’energia per le aziende esportatrici, poi.
Questa distonia, continua e comune, nella narrazione, emerge anche dai social. Infatti, se a fine febbraio il Presidente Draghi confermava il pieno appoggio alla “linea dell’Ue sulle sanzioni alla Russia, incluse quelle nell’ambito #SWIFT” e assieme al Consiglio Europeo definiva “un pacchetto di sanzioni molto dure”, il tone of voice del profilo ufficiale Twitter di Palazzo Chigi si fa via via più moderato arrivando, il 9 marzo, a stressare la necessità di “fare di tutto per rendere le sanzioni sostenibili al nostro interno”.
La rete ci restituisce l’immagine di una politica ampiamente e trasversalmente coinvolta, con quasi 500 attori istituzionali che, attraverso i propri canali social, hanno veicolato contenuti tesi a commentare lo stato dell’arte sull’invasione dell’Ucraina, con una particolare attenzione al tema delle sanzioni. A dominare le conversazioni online è principalmente il Movimento 5 Stelle con 180 rappresentanti attivi sulla issue, distaccando Partito Democratico (95) e Lega (69), e totalizzando un volume complessivo di 277 contenuti.
A confermare l’ipotesi che i partiti conservino caratteristiche, prese di posizione e tempistiche di intervento differenti arriva l’analisi del dibattito politico sui social che consente di fotografare, attraverso una lente estremamente schematica, il tradizionale spaccato centrosinistra – centrodestra.
Lega, Fratelli d’Italia e Forza Italia, fin dagli albori del conflitto, si sono detti preoccupati per il contraccolpo economico che le sanzioni avrebbero avuto sul nostro Paese. Matteo Salvini ha definito le “sanzioni come ultima spiaggia”, uno strumento necessario ma a cui era opportuno prestare attenzione onde evitare l’“autolesionismo”. Se Giorgia Meloni invita caldamente a “non far finta di non vedere l’impatto che le sanzioni alla Russia avranno sulle nostre aziende”, Francesco Lollobrigida rilancia anche l’idea di un “fondo modello Brexit che possa compensare le perdite economiche per l’Italia”. Ancora all’economia va il primo pensiero di Forza Italia i cui vertici auspicano “una soluzione diplomatica per evitare contraccolpi economici” e ricordano l’ambivalenza delle sanzioni che “penalizzano chi le subisce e anche chi le infligge”.
Partito Democratico e Movimento 5 Stelle – come si vede dal grafico di cui sopra, partiti più attivi in rete sulla issue – sono invece molto più focalizzati sull’esterno. Se, infatti, Giuseppe Conte a fine febbraio si mostrava, tutto considerato, restio a sanzioni che ledessero l’interesse nazionale, via via ha rafforzato l’idea che i pentastellati siano non solo a favore di un’attuazione immediata delle sanzioni, ma anche consapevoli di quanto sia “impensabile valutare una risposta unitaria laddove si guardino gli interessi dei singoli Stati”. Ma è senza dubbio Enrico Letta ad aver tenuto, soprattutto nei primi giorni, un tone of voice particolarmente forte. “Putin basa la sua scommessa sul fatto che noi occidentali siamo rammolliti e non in grado di opporci. Le sanzioni devono essere le più dure possibili per mettere in ginocchio la Russia”, così scriveva il 25 febbraio su Twitter, rafforzando la posizione dei dem pro-sanzioni e insinuando, piuttosto esplicitamente, che non imporre misure punitive severe alla Russia avrebbe voluto dire cedere alla propaganda del Cremlino che “fa credere che saremo noi i più danneggiati dalle sanzioni quando non è così”.
Dunque, pur registrandosi una sostanziale convergenza sulla condanna dell’aggressione e sulla necessità di giungere ad una rapida risoluzione del conflitto, con il passare del tempo, spinti dalla consapevolezza delle gravi ed incombenti conseguenze delle (pur necessarie) sanzioni, i partiti sembrerebbero aver ripreso la strada dell’agenda setting, prendendo posizione per essere riconoscibili. Si consideri uno dei temi più attenzionati, ossia quello dell’energia. Sul punto, paiono riemergere le consuete divisioni. Se, da un lato, la Lega ha chiesto – per bocca dell’On. Formentini – di riprendere le estrazioni di gas nazionale, la Senatrice De Petris (LeU) ha sollecitato l’attivazione di un piano straordinario per le fonti rinnovabili. Ancora: l’On. Migliore (IV), ha espresso la necessità di un piano europeo per l’autosufficienza energetica, investendo sul nucleare di nuova generazione, mentre FdI ha chiesto a gran voce che i costi delle sanzioni non ricadessero su imprese e consumatori.
Il dibattito ha, quindi, visto i partiti esprimere un’opinione e posizionarsi, in maniera più o meno netta. C’è da domandarsi il perché di una così repentina ripresa del confronto tra le forze politiche, così come abbiamo imparato a conoscerlo. La risposta, quella più probabile (o almeno, una delle possibili spiegazioni), potrebbe essere sintetizzata in una parola: elezioni. Non è un mistero che i partiti esistano per aggregare consenso e che per esistere quegli stessi partiti necessitino consenso, e che il modo migliore per attrarre voti sia quello di prendere posizione, senza ambiguità. Pur essendo senz’altro prevalente la volontà di tutelare, nel miglior modo possibile, l’economia italiana, non può ignorarsi che gli appena dodici mesi che ci separano dalle elezioni rappresenteranno un importante banco di prova, al quale i partiti non possono sottrarsi.
Sbrigliare la matassa di un dibattito in continuo divenire, e inevitabilmente condizionato dagli imprevedibili sviluppi del conflitto, è cosa complessa. Così come è accaduto per il Covid, tuttavia, è possibile individuare un fil rouge, ossia la necessità, per i partiti, di consolidarsi dal punto di vista del consenso e di far emergere la propria linea. Il dibattito istituzionale e social dimostra, in maniera piuttosto plastica, che l’avvicinarsi dell’appuntamento elettorale ha influenzato – e, verosimilmente, continuerà ad influenzare – il modo in cui le forze politiche reagiscono agli avvenimenti e scelgono di prendere posizione.