Legge elettorale e “correttivi costituzionali”: l’intervista all’on. Fornaro (LeU)

L’intervista esclusiva ad uno dei massimi esperti della materia: il presidente del gruppo Liberi e Uguali, on. Federico Fornaro.

1. Il 7 ottobre 2019, in occasione del voto favorevole alla legge costituzionale di riduzione del numero dei parlamentari patrocinata dal Movimento 5 Stelle, i capigruppo delle forze di «maggioranza» del Governo «Conte II» sottoscrissero un documento con cui si condizionava il voto favorevole all’approvazione di un pacchetto di mini-riforme. Volendo porre rimedio ad alcuni «aspetti problematici, con riguardo alla rappresentanza sia delle forze politiche sia delle diverse comunità territoriali», la «maggioranza» si impegnava a adottare una nuova legge elettorale «al fine di garantire più efficacemente il pluralismo politico e territoriale, la parità di genere e il rigoroso rispetto dei principi della giurisprudenza della Corte costituzionale in materia elettorale e di tutela delle minoranze linguistiche». Tale impegno, come noto, non ebbe seguito. Giunti alla fine della legislatura ritiene plausibile, con questa nuova «maggioranza», addivenire ad una nuova legge elettorale? Attorno a quale proposta è possibile costruire un’intesa anzitutto tra le forze di Governo?

È del tutto evidente che senza la disponibilità di almeno uno dei principali partiti del centro destra non ci sono i numeri in Parlamento per approvare una nuova legge elettorale. Ad oggi non si registrano ufficialmente segnali di apertura ad un dialogo sul tema. Più passa il tempo e maggiori diventano gli interessi di parte che spingono il centro destra a difendere il “Rosatellum”. L’avere due partiti del centro destra (Lega e Fratelli d’Italia) al governo e uno (Fratelli d’Italia) all’opposizione non aiuta perché appena si parla di nuova legge elettorale scatta un riflesso conservatore e unificante.

Detto in altri termini sul tema legge elettorale non esiste una “maggioranza”. Se si incrinasse l’alleanza di centro destra, si potrebbero aprire spazi nuovi per una nuova legge elettorale fondata sulla formula proporzionale, unica alternativa praticabile al Rosatellum. I correttivi al sistema proporzionale “puro” potrebbero essere diversi, ma se non si avvia, in concreto, un dialogo sul superamento della legge elettorale vigente la discussione inevitabilmente rimane sui principii astratti.

2. Oltre alla succitata legge elettorale, nel documento del 7 ottobre 2019, venivano previste tre riforme costituzionali: la modifica della base territoriale di elezione del Senato; l’armonizzazione dell’elettorato attivo e passivo di Camera e Senato; la diminuzione del numero di delegati regionali per l’elezione del Presidente della Repubblica. Allo stato attuale, l’unico portato a termine è il Disegno di legge proposto dall’On. Brescia (M5S) con cui si allinea l’elettorato attivo dei due rami del Parlamento prevedendo l’introduzione del diritto di voto ai diciottenni per l’elezione dei senatori. La riduzione del numero dei delegati, come lei stesso ha notato in sede di Commissione Affari Costituzionali della Camera, il 22 marzo scorso in occasione della discussione dell’Atto Camera 2238, «avrebbe impedito di fatto il rispetto del principio della rappresentanza delle minoranze nell’elezione dei delegati regionali», ragione per la quale la misura è stata depennata dal DDL mentre la restante parte del provvedimento, che modifica l’articolo 57 della Costituzione, in materia di base territoriale per l’elezione del Senato della Repubblica, è stata approvata e trasmessa al Senato ai fini della II lettura. Le critiche avanzate dal centro-destra, secondo cui la misura prelude a una legge elettorale di tipo proporzionale, rischiano di far naufragare la riforma? Esiste un margine di mediazione e composizione della disputa almeno a livello di «maggioranza»?

La modifica della base di elezione del Senato da regionale a circoscrizionale è stata approvata alla Camera con un numero di voti inferiore alla maggioranza assoluta di 316 deputati. Il voti contrario di Forza Italia e Lega è stato motivato con il diretto collegamento della riforma con la legge elettorale su cui entrambi i partiti hanno espresso una indisponibilità nel breve periodo ad intervenire.

Come per la legge elettorale anche su questa riforma non esiste “una maggioranza”, ovvero i partiti che sostengono il governo Draghi. Questo rende tutto più complesso e soprattutto fa dipendere il tutto dagli umori interni alla coalizione politica del centro-destra.

La questione non è quella di mediazioni, ma di semplice accettazione di una riforma che renderebbe più stabile l’intero sistema istituzionale evitando maggioranze differenti tra Camera e Senato.

Con la riforma della base di elezione del Senato sarebbe, infatti, possibile una legge elettorale pressoché identica tra Camera e Senato.

3. Un ulteriore tassello del disegno complessivo è certamente quello relativo ai regolamenti parlamentari, dal momento che il taglio impatta e non poco sul funzionamento interno delle Camere. Quanto è avanzata la discussione in tal senso e quanto Le appare solido l’accordo politico sulla riforma presso i due rami del Parlamento? Infine, secondo Lei, quanto i due testi potranno differire e, se sì, quali saranno a Suo parere i punti di divergenza più rilevanti.

I testi di riforma dei regolamenti di Camera e Senato in conseguenza alla riduzione del numero dei parlamentari sono in dirittura d’arrivo, con novità simili.

La differenza più rilevante sarà la riduzione da 14 a 10 del numero delle commissioni permanenti al Senato.

Resta ancora da affrontare alla Camera la questione di una riforma più incisiva del regolamento sulla scia di quanto approvato al Senato sul finire della XVIIª legislatura.

Il Presidente Fico ha espresso la volontà di affrontare alcuni nodi critici dell’attuale regolamento della Camera, ma molto dipenderà dalla durata dell’attuale legislatura.